Muoversi 2 2022
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CLIMA, ECONOMIA E SICUREZZA ENERGETICA NELL’ERA DELL’ANTROPOCENE

CLIMA, ECONOMIA E SICUREZZA

ENERGETICA NELL’ERA DELL’ANTROPOCENE

di Francesco Sassi

Francesco Sassi

Ricercatore in geopolitica dell’energia e mercati energetici RIE – Ricerche industriali ed energetiche

Nella prefazione del lavoro di Klaus Korr, “Power and Wealth” del 1973, l’economista internazionale Benjamin Cohen constatava come l’inconciliabilità degli interessi degli economisti, dediti allo studio e comprensione delle dinamiche macroeconomiche globali, e politologi, interessati al persistere e mutare delle dinamiche di politica internazionale, stesse creando un abisso sempre più grande nel racconto dell’era moderna. Un’epoca costituita da crescenti interdipendenze. Di fronte all’ingrandirsi anno dopo anno del divario narrativo, la prospettiva descritta da Cohen era quella di un vano e inconclusivo “dialogo fra sordi”. Eppure, a fronte di Stati sempre più chiamati a intervenire negli affari economici, l’unico quadro analitico possibile diventava quello capace di combinare e integrare entrambi i fattori; ovvero lo sviluppo di una efficace “politica economica delle relazioni internazionali.”

Va però detto che, per quanto audaci, i piani europei otterranno auspicabilmente risultati in tempi medi. Infatti, la vulgata che vorrebbe risolvere il nodo della nostra interdipendenza dalla Russia in breve periodo appare più come un’illusione politico-prospettica. La stessa è però utile a imbastire e legittimare la necessaria contemplazione e sobrietà delle misure da mettere oggi in campo

Profetico sotto più punti di vista, tutto ciò veniva scritto pochi mesi prima dello shock petrolifero del 1973 e delle disfunzioni economiche e monetarie che ne conseguirono. L’impatto di questi eventi incise sulla vita di gran parte della popolazione terreste per molti anni a venire, facendo da apripista all’epoca del commercio senza barriere e liberalizzazione dei mercati che permea la nostra era. Lo stesso, diede vita o nuova linfa ad alcune delle istituzioni di governance internazionale che oggi conosciamo, come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE).

In Europa, l’ambizione della transizione verso fonti energetiche a basso impatto carbonico ha costituito l’architrave di una politica internazionale devota all’interdipendenza di modelli economici quanto mai differenti tra loro. Si pensi al dialogo fra Europa e Cina sull’argomento, nelle ore in cui Bruxelles vorrebbe una reazione proattiva di Pechino verso Mosca per la costituzione di un cessate il fuoco e la creazione di corridori umanitari. Di fronte alla frustrazione della Commissione e la richiesta minima di non interferire con le sanzioni Occidentali contro la Russia, applicate dopo l’invasione dell’Ucraina, oggi la transizione energetica europea assume tutto un altro significato.

Pannelli solari, pompe di calore, turbine eoliche e risparmio energetico sono infatti i dispositivi di sicurezza attivati dalla UE per limitare le ingerenze di Mosca nella Comunità europea. L’affrancamento dagli idrocarburi russi è oggi interpretato dalle principali cancellerie come la soluzione più convincente per acquisire nuovo spazio strategico nei confronti della Russia e supportare al tempo stesso l’Ucraina nel suo sforzo bellico, riducendo le capacità di spesa militare del Cremlino. Va però detto che, per quanto audaci, i piani europei otterranno auspicabilmente risultati in tempi medi. Infatti, la vulgata che vorrebbe risolvere il nodo della nostra interdipendenza dalla Russia in breve periodo appare più come un’illusione politico-prospettica. La stessa è però utile a imbastire e legittimare la necessaria contemplazione e sobrietà delle misure da mettere oggi in campo.

Il tempo, però non è dalla nostra parte. Attorno ad un’Europa alle prese con una crisi migratoria senza precedenti, scontri crescenti fra Commissione e Stati membri per l’implementazione dei vari Recovery Plan e rischi di stagflazione sempre più incombenti, le grandi potenze si stanno già strategicamente posizionando per controllare e governare il processo di transizione secondo i propri interessi.

Dall’altra parte, l’AIE ha subito un duro colpo di credibilità come attore di regolazione e controllo della sicurezza energetica internazionale. L’estromissione da parte dei paesi dell’alleanza OPEC Plus, dalle fonti attendibili nella previsione delle dinamiche petrolifere. Una scelta che mina alle fondamenta qualsiasi risoluzione degli squilibri energetici globali

Dall’altra parte, ancor prima della guerra, il trend di riduzione dei costi per fonti rinnovabili che persisteva da più di un decennio si è interrotto, impattando sulla redditività di questi stessi progetti e potenzialmente ritardandone la messa a terra. Wood Mackenzie prevede che senza un intervento rapido del Congresso, gli Stati Uniti raggiungeranno meno del 40% dei target in termini di decarbonizzazione prefissati al 2035. In Europa, dove gli obiettivi sono ancora più ambiziosi, gli effetti di scala di un fallimento politico, economico e sociale del programma Fit-for-55 sarebbero ancora maggiori. A questo si aggiunge la critica assenza sul territorio comunitario di molte delle materie prime necessarie alla stessa transizione. La loro importazione avviene infatti proprio da paesi come la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese.

Che la strada per la transizione sia in salita ce lo dice la stessa Banca Centrale Europea. Davanti a noi si prospettano infatti tre possibili shock legati alla nuova epoca di inflazione energetica in cui siamo entrati. Il primo, climateinflation, è legato ai costi direttamente collegabili ai danni causati dal cambiamento climatico. Il secondo, fossilinflation, si riferisce ai rincari inflazionatori nella zona UE dovuti, nel 2022, per il 50% proprio ai costi energetici. Il terzo, greeninflation, pone infine il problema della scarsità delle materie prime critiche per la transizione e la realizzazione delle stesse fonti a basso impatto carbonico. Una maggiore domanda porterà inevitabilmente ad un loro crescente costo, con effetti sul processo di transizione.

Non è dunque un caso che entrambe le istituzioni perno dell’Occidente uscito dalle crisi degli anni ’70 siano oggi in forte difficoltà. Da una parte, l’FMI sta diventando lo spettro di sé stesso, bloccato sulle sue posizioni per via delle tensioni geopolitiche all’interno dello stesso G20. Incapace di porre un freno alla destabilizzazione economica di diversi paesi al persistere di stagflazione o recessione, ulteriori crisi politiche inciderebbero negativamente su di un quadro internazionale già gravemente compromesso. Dall’altra parte, l’AIE ha subito un duro colpo di credibilità come attore di regolazione e controllo della sicurezza energetica internazionale. L’estromissione da parte dei paesi dell’alleanza OPEC Plus, di cui Russia e Arabia Saudita sono i principali artefici, dalle fonti attendibili nella previsione delle dinamiche petrolifere ha fatto seguito al diniego, da parte della stessa Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, di incrementare ulteriormente la propria capacità produttiva. Una scelta che mina alle fondamenta qualsiasi risoluzione degli squilibri energetici globali.

All’inizio degli anni ‘70 il cosiddetto “Nixon shock” e quello petrolifero trasformarono l’Occidente e favorirono il processo di globalizzazione a partire dal decennio successivo. Oggi, il combinato disposto fra la crisi energetica europea, e le sue ripercussioni globali, il conflitto tra Ucraina e Russia e la lotta ai cambiamenti climatici ci pone davanti a dilemmi ancor più pressanti e pervasivi. Affrontarli richiede il rinnovamento delle prospettive analitiche di chi tratta questioni internazionali. La visione tecnicista, positivista e razionalista della transizione energetica come il risultato ultimo di una graduale e infine esplosiva introduzione delle energie rinnovabili attraverso strumenti di mercato ha sino a ieri prevalso. Nell’epoca attuale, l’intervento politico e la sintesi fra esigenze di economia domestica, sicurezza internazionale e cambiamento climatico impone un nuovo paradigma di pensiero. È arrivato il tempo di un’imprescindibile politica economica delle relazioni internazionali dell’Antropocene.